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Dott. Claus Löser su il lavoro di Helke Misselwitz

data: 10.10.2022

categoria: notizie

Helke Misselwitz e il "realismo poetico" della Deutsche Film AG

 

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Helke Misselwitz e il "realismo poetico" della Deutsche Film AG

Una giovane donna siede nella sua stanza, tiene le foto davanti alla videocamera e parla apertamente del suo lavoro da fotografa. Parla di come affrontare la nudità e della mendacità degli ideali ufficiali di bellezza. In questa conversazione si nota subito il rapporto di reciproca fiducia. Il documentario del 1984 "Aktfotografie - z.B. Gundula Schulze" ("Nudo artistico nella fotografia – per esempio Gundula Schulze") è un film eccezionale nella storia culturale della Germania Est, un colpo di fortuna, ciononostante non un caso isolato. Con questa e altre opere, la regista Helke Misselwitz è riuscita a presentare la propria prospettiva soggettiva sul presente realsocialista e a proporla nelle sale cinematografiche. Questo era tutt'altro che scontato all'interno della Deutsche Film AG. Il fatto che le opere di Helke Misselwitz e di altri registi della sua generazione (come Petra Tschörtner, Thomas Heise, Ernst Cantzler, Gerd Kroske o Heinz Brinkmann) siano arrivate nelle sale cinematografiche solo alla fine del socialismo ovvero addirittura dopo, fa parte della paradossale e talvolta tragica storia culturale della DDR.

Fin dalla fondazione della Deutsche Film AG nel maggio 1946, la visione di Lenin "il cinema come la più importante di tutte le arti" è stata presa estremamente sul serio. Ciò ha avuto conseguenze devastanti per i cineasti, perché le immagini in movimento erano diventate una questione di competenza dei burocrati della cultura. Nulla era stato lasciato al caso. I registi indipendenti si muovevano al limite della legalità, potevano lavorare solo con i formati Super 8 millimetri e in casi eccezionali 16 millimetri, e dovevano costantemente fare i conti con sequestri e altre forme di criminalizzazione. Chi voleva fare film a livello professionale invece, doveva affrontare un lungo processo di selezione in cui veniva verificata anche l' "affidabilità politica". Nonostante queste rigide condizioni, il panorama cinematografico della Germania Est non si presentava affatto come un monolite inerte, aderendo alle linee guida staliniane per oltre 40 anni. Dall'inizio degli anni Sessanta c'erano stati ripetuti tentativi di adoperare tendenze internazionali del modernismo cinematografico o di lasciare un segno proprio. La censura era a volte totale, altre volte sorprendentemente frammentaria. Esistevano differenze incisive tra lungometraggi e documentari. Poiché i lungometraggi erano considerati "la classe alta" del cinema ed erano automaticamente associati a una certa popolarità, la censura si concentrava principalmente su questo settore. In contrasto a ciò c'era una corrente di film non-fiction in cui si poteva lavorare in modo relativamente tranquillo. I documentari erano (con pochissime eccezioni) cortometraggi. I film erano prodotti per essere utilizzati nei preprogrammi cinematografici, quindi erano rimasti un po' al di sotto della soglia di percezione. In questa terra di nessuno, registi e cineoperatori coraggiosi come Kurt Tetzlaff, Volker Koepp, Richard Cohn-Vossen, Christian Lehmann o Thomas Plenert erano riusciti più volte a portare nelle sale cinematografiche momenti cinematografici emozionanti. Le principali fonti di ispirazione erano i film di Jürgen Böttcher. Böttcher, nato nel 1931 e tuttora attivo come artista visivo, ha dovuto sopportare ripetutamente rimproveri e divieti, ma è riuscito a realizzare diversi film di alto livello artistico, che sono stati soprattutto di grande valore esemplare per la generazione successiva. Tra le colleghe più giovani che si ispiravano a lui c'era Helke Misselwitz. Nella sua ricerca di altre prospettive sulla realtà, si era collegata a Böttcher attraverso il cameraman Thomas Plenert.

È qui che entra in gioco il concetto di "realismo poetico". Innanzitutto, si pone come controprogetto al "realismo socialista" ufficialmente propagandato, importato a forza dall'Unione Sovietica a partire dal maggio 1945. Questo era concretamente orientato all'attuazione della politica quotidiana e si contraponeva al "realismo critico", che veniva tacciato come piccolo-borghese. Il concetto di poesia, d'altra parte, è in principio difficile da afferrare – sfida la polarizzazione. I film di Helke Misselwitz non utilizzano lo schermo diffusore, né in senso fotografico né in senso metaforico. Ciò che si intende per procedimento "poetico" è piuttosto la processualità della percezione, un'apertura fondamentale alla realtà ad essa associata. È molto più vicino alla richiesta di una "poesia praticata" (Breton) o al desiderio di un "pensiero coinvolto" (Handke) che a qualsiasi forma di interiorizzazione astratta o di "bellezza in sé" contemplativa. È proprio questo l'atteggiamento che ho riscontrato in Helke Misselwitz quando l'ho incontrata nel 1985, dopo la proiezione del suo film-saggio "Tango-Traum" a Karl-Marx-Stadt. In quel periodo ho sperimentato un misto di emozioni tanto raro quanto prezioso – da un lato la determinazione incrollabile a seguire la propria strada, dall'altro una costante attenzione al mondo esterno. Questa visione del mondo è presente anche in tutti i film della regista.

Dott. Claus Löser