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PETER METTLER: CINEASTA RADICALIZZATO (INSOMMA, UN TERRORISTA)

data: 10.10.2018

categoria: notizie

Oserei dire che Peter Mettler sia uno di quegli autori cinematografici che per uno o per l’altro motivo conoscono davvero in molti (almeno per sentito dire): che sia per le sue valide riflessioni sulla società contemporanea e sulle ossessioni della stessa, o per la sua continua analisi del ruolo che la tecnologia ricopre nel processo creativo e in molteplici aspetti della nostra vita; che sia per il suo arguto e perspicace mischiarsi e intrecciare il proprio processo creativo cinematografico con altre discipline artistiche e mezzi d’espressione, o semplicemente per i numerosi noti artisti con cui ha collaborato (dal musicista Fred Frith all’autorità in campo teatrale Robert Lapage), o, perché no, forse per la sua quasi bizzarra ossessione per la scienza e i quesiti fondamentali che essa schiude, oppure semplicemente per il fatto che Mettler sia un autore cinematografico unico nel suo genere e profondamente anticonvenzionale. Tuttavia, allo stesso tempo, pochissimi lo sanno comprendere.

Nei quasi quattro decenni della sua carriera cinematografica ha infatti generato una produzione selvaggiamente varia e sorprendentemente multiforme, senza trascurare il fatto che sia anche quantitativamente imponente. Dell’unitarietà dei suoi lavori, a prima vista forse non così direttamente (e di certo non intuitivamente) percepibile, ci accorgiamo solamente guardando la sua filmografia alla luce di una sua decisione cruciale e di svolta: quella di continuare a lavorare, per tutta la sua carriera e senza eccezioni, al di fuori degli ambienti di produzione istituzionali, in nome della completa libertà creativa. Mettler ha quindi abbracciato coscientemente la maggiore difficoltà, imprevedibilità e l’impegno richiesto da tali condizioni di produzione. Ed è considerando questo che, volgendoci nuovamente alla totalità delle sue creazioni, vi scorgeremo improvvisamente ciò che da determinati fatti e comportamenti davvero non ci aspetteremmo: resteremo sbalorditi dalla continuità creativa di Mettler nonostante le sue condizioni di produzione non fossero le più incoraggianti, e dalla sua efficienza quasi stacanovista nel realizzare e concretizzare le proprie idee e visioni.

È dunque evidente che nel suo processo creativo le condizioni di produzione non hanno nemmeno lontanamente il ruolo decisivo che rivestono nei lavori di altri autori, che invece non sono così abbandonati a se stessi. Perciò non sorprende che Mettler le abbia rifiutate così facilmente e apparentemente senza indugi. Si tratta quindi di una “perdita” che Mettler evidentemente non ha nemmeno avvertito, che gli ha concesso un unico ma fondamentale elemento chiave e gli ha permesso di raggiungere quella che senza difficoltà riconosciamo come l’unica condizione – assolutamente non trascurabile – del suo processo creativo, e cioè di lavorare alle condizioni e nello spirito della totale libertà creativa che proprio l’assenza di qualsiasi pretesa, aspettativa o imperativo esterni, nonché l’esclusione delle figure che, nell’ambito della produzione istituzionale, accompagnano costantemente la creazione, rendono possibile.

Le conseguenze dirette e indirette di questa scelta dell’autore, o meglio di questa sua posizione quasi manifesta che gli permette di lavorare in completa libertà dal punto di vista creativo, pervadono tutta la sua produzione e ciascuna sua creazione, ogni piano e ogni fase del suo processo creativo, e infine anche numerosi aspetti del suo intimo rapporto con i propri film, nonché le sue riflessioni sulla cinematografia e i relativi mezzi espressivi. Queste conseguenze si manifestano in tutta la loro potenza e drammaticità, per esempio, già sul piano dell’impostazione formale delle sue opere. Così allo spettatore che si accinge a conoscere i suoi film sembrerà a prima vista (con quel primissimo sguardo ancora superficiale e troppo “da lontano”) di poterli categorizzare in due gruppi di senso definiti, suddividendoli semplicemente in documentari e film di finzione. Beh, questi comprenderebbe molto presto – ad un’osservazione un po’ più attenta – quanto inaspettatamente evidenti siano le dimensioni del proprio errore. Ciascun’opera di Mettler infatti è – in maniera marcata o appena percettibile, ma comunque distinguibile – differente dalle altre.

Ma siamo concreti e immergiamoci nella mole delle sue opere. Vi troveremo documentari più o meno classici (Picture of Light/Immagine della luce) ma pure estremamente sperimentali (Petropolis), sperimentazioni in lungometraggi di finzione che, nella trattazione del problema della dipendenza dall’eroina, si pongono domande sulla natura e sui livelli della percezione, sulla nostra identità individuale e sociale, e sulla probabile apparizione della coscienza in quella tecnologia che ci permette di raccontare per immagini (il suo primo lungometraggio Scissere – passato alla storia come il primo film studentesco ad essere inserito nel programma ufficiale del festival di Toronto), particolari adattamenti di opere teatrali liberate completamente dai vincoli della forma, nei quali rappresenta e riflette sul drammatico scontro tra storia, cultura e i desideri dell’uomo (Tectonic Plates/Placche tettoniche), documentari con inclinazioni sociopolitiche, quasi attivistici, su attuali problemi ecologici (ancora Petropolis), e infine troviamo ancora opere difficilmente classificabili nelle quali vengono esplorati quesiti filosofici hardcore originati dall’intersezione del mondo animale con quello umano (Becoming Animal/Diventare animale, ad oggi il suo ultimo lavoro).

Fino a qualche giorno fa mi ritenevo un conoscitore di Mettler abbastanza buono. Ma poi ho cominciato, lentamente e gradualmente ma con continuità, ad ogni nuovo avvicinamento all’opera, a scoprire zone oscure, incredibilmente numerose, dietro le quali si nascondevano aspetti della sua creatività a me completamente sconosciuti, e ad accorgermi sempre più chiaramente che finora stavo solo bleffando più o meno bene. Ed ora mi ritrovo confuso davanti a questo profondo precipizio che è la sua produzione, e mi chiedo se abbia ancora un senso inventare e mettere a punto strategie di scoperta davanti a questa collezione di immagini filmiche, di storie e riflessioni, anticonvenzionale, a tratti estrema, ma sempre brillante. Questa sfugge infatti in maniera così spontanea e chiara, in anima e corpo, a qualsiasi categorizzazione e sistematizzazione, che sembra quasi più sensato e pratico lasciarsi semplicemente trasportare da essa.

Peter Mettler è nato in Canada – dove è considerato (assieme ai colleghi e collaboratori A. Egoyan, B. McDonald ed altri) tra i più importanti ed originali rappresentanti del movimento, originatosi in Ontario negli anni Ottanta, di nuovi, cosiddetti critici, cineasti canadesi – ma, come lui stesso ricorda sempre, sente un forte legame anche creativo con la sua seconda patria, la Svizzera, dove sono nati i suoi genitori (e qui aggiungiamo che entrambe le nazioni sono fortemente decise ad appropriarselo: non è chiaro se lo si prestino vicendevolmente o se una delle due si sia appropriata del suo cuore, l’altra dei suoi vivaci neuroni). L’autore crea, dividendosi tra due case e due patrie, e pertanto ha fatto della necessità di confrontarsi con frontiere e suddivisioni virtù: l’ha posta al centro del proprio intimo mondo creativo e ha fatto del superamento dei confini la propria missione e allo stesso tempo il proprio credo creativo. A lui va il Premio Darko Bratina 2018. L’autore cinematografico sarà dunque il protagonista principale dell’edizione di quest’anno del festival Poklon viziji/Omaggio a una visione, e tra il 15 e il 22 ottobre presenterà le proprie opere in sette città dell’area transfrontaliera tra Slovenia e Italia, tra le quali anche Lubiana. Mentre martedì 16 ottobre a Gorizia, Mettler condurrà una masterclass giornaliera al Palazzo del cinema (per saperne di più: kinoatelje.it). Se vi entusiasma e alletta la sfida della diversità e della creatività, basate sulla consapevolezza della necessità di superare qualsiasi e qualunque limite, confine o suddivisione, non lasciatevi sfuggire l’incontro con Mettler.

 

Denis Valič