Destinatari del Premio Darko Bratina 2025
Durante la conferenza stampa a Nova Gorica sono stati presentati i destinatari del Premio Darko Bratina, conferito dal Kinoatelje al Festival cinematografico transfrontaliero Omaggio a una visione.
Nell’anno della Capitale Europea della Cultura verranno conferiti ben due Premi Darko Bratina
L’edizione speciale di quest’anno del festival cinematografico transfrontaliero Omaggio a una visione/ Poklon viziji, che si svolge all’insegna della Capitale Europea della Cultura GO! 2025, mette in primo piano due straordinari maestri del cinema che, con la loro opera, hanno segnato il panorama cinematografico mondiale e aperto uno spazio di profondo dialogo tra le culture: il Premio Darko Bratina viene assegnato al maestro ungherese Béla Tarr e all’autore italo-armeno Yervant Gianikian, che insieme ad Angela Ricci Lucchi ha creato uno dei più ricchi opus filmici della cinematografia europea.
Nell’anno in cui la Capitale europea della cultura si fa doppia, come nello straordinario caso transfrontaliero di Nova Gorica e Gorizia, abbiamo voluto raddoppiare anche il Premio Darko Bratina, così intimamente legato a questa duplice cultura, sospesa tra Oriente e Occidente. Abbiamo dunque scelto di attribuirlo a due autori cinematografici provenienti da due mondi diversi: da una parte l’Est, con Béla Tarr, immenso maestro ungherese capace di narrare la maledizione e la resistenza di un mondo in frantumi; dall’altra l’Ovest – o meglio, due voci unite, (anche se uno è di origine Armena) Yervant Gianikian e Angela Ricci-Lucchi che in cinquant’anni hanno dato vita a un cinema inedito. Un cinema nato da immagini ritrovate, non loro personali, ma di tutti noi, che ha saputo tessere la memoria del mondo umano (basti pensare alle pellicole composte a partire dai filmati girati da Luca Comerio durante la Prima guerra mondiale). Con le loro opere hanno attraversato il mondo dimostrando che il cinema nasce lungo i percorsi della libertà, del dialogo, della poesia e dell’indipendenza di scelte anticonvenzionali, esigenti e dinamiche.
Entrambi i premiati, con il loro lavoro creativo, hanno tracciato nuove strade per uno sguardo diverso sul cinema, capace di oltrepassare confini geografici e linguistici. Le loro visioni hanno aperto spazi di riflessione sulla storia, sulla società e sull’arte, insegnandoci che il cinema è luogo di incontro tra culture, memorie e destini umani.
Con l’annuncio odierno dei premiati, il festival invita già il pubblico a unirsi a noi dal 7 al 12 ottobre a Gorizia e Nova Gorica, nonché in altre località dello spazio transfrontaliero. Oltre alle numerose proiezioni e gli incontri con il pubblico, i due autori terranno anche due masterclass in cui sveleranno parte della loro visione artistica.
Il Kinoatelje conferma così ancora una volta la missione del Premio Darko Bratina, dedicato alla memoria del suo fondatore, sociologo, critico cinematografico e senatore della Repubblica – costruire ponti tra culture attraverso la forza dell’arte cinematografica.
Béla Tarr
Béla Tarr, regista ungherese i cui film sono quasi tutti radicati nella sua terra d’origine, a ventiquattro anni realizza il suo primo lungometraggio Nido familiare (1979). La cinepresa a mano e la rabbia giovanile, col passare del tempo, si sono placate, ma allo stesso tempo si sono fatte più profonde. La notorietà mondiale gli arriva con l’epopea Sátántangó (1994), della durata di sette ore e venti minuti, girata nella pianura ungherese e premiata con l’Orso d’argento. I suoi film vanno oltre la narrazione, creando un ritmo e una dimensione che ricordano Ford o Melville, pur senza influssi diretti. Anche quando si avvicinano a Tarkovskij o Jancsó, i suoi film percorrono un cammino proprio, intriso di una forte dimensione politica e umanistica – come in Prologo (2004) o in Le armonie di Werckmeister (2000). Con Il cavallo di Torino (2011) ha scelto consapevolmente di concludere il suo percorso cinematografico. In seguito, si è dedicato alle installazioni artistiche e all’insegnamento, da Sarajevo a Praga. Considerato uno degli autori più sfuggenti ma al tempo stesso più celebrati della sua generazione, rimane simbolo del cinema d’autore, benché egli stesso rifiuti tale etichetta.
Yervant Gianikian in Angela Ricci Lucchi
Yervant Gianikian, architetto di origine armena, e Angela Ricci Lucchi, pittrice italiana, sono stati una coppia nella vita e nell’arte: per oltre quattro decenni hanno usato il cinema come strumento di riflessione sulle immagini e sulla loro ambiguità. Negli anni Settanta si presentano ai festival internazionali con i loro “film profumati”, in cui intrecciavano cinema e arte ambientale attraverso fragranze e gesti performativi. Ben presto si dedicano alla ricerca d’archivio e, nei loro viaggi, riportano alla luce pellicole dimenticate di pionieri come Luca Comerio o film provenienti da aree sconvolte da guerre e conflitti – Jugoslavia, Armenia, Africa, India. Questi fragili materiali venivano da loro salvati e rielaborati con la loro “cinepresa analitica”, un dispositivo per la proiezione manuale, la ricopiatura e la colorazione, che evocava le origini del cinema. Così nascevano nuove narrazioni, capaci di rivelare strati nascosti delle immagini e di mostrare come anche il documentario, in quanto genere, porti con sé ambiguità e zone d’ombra. Il loro lavoro ha spalancato lo sguardo sui lati oscuri della storia: la violenza coloniale, le guerre, le migrazioni, gli esili. Al centro hanno sempre posto le moltitudini – i vinti, gli anonimi, gli invisibili – che nei loro film diventano voci della storia e simbolo della condizione umana in senso universale e corale. Angela è scomparsa nel febbraio del 2018.